Davide Paolini, romagnolo classe ’48. Giornalista e scrittore, conosciuto da tutti come “Gastronauta”, termine coniato da lui stesso per descrivere qualcuno che sceglie di mangiare con la propria testa e rivede nel cibo la cultura del territorio a cui appartiene. Ed è questo aspetto di lui che lo porta in giro per il mondo ad assaggiare i piatti di ogni angolo del globo, proprio quelli che racconta nel suo ultimo libro “Confesso che ho mangiato”, e nel quale lo scrittore racconta, attraverso un flusso di ricordi, tutte le sue esperienze passate.
Dalle esperienze d’infanzia, accanto ai nonni e nella cucina della madre, fino all’assaporare piatti gourmet di chef stellati o i ricordi di pesci pescati poco prima e cucinati su un fuoco improvvisato: un viaggio nelle emozioni dei ricordi che il lockdown ha portato a galla prepotenti nella mente di chi, come lui, ha fatto dei viaggi la propria vita.
In quest’intervista esclusiva ci dà un assaggio del suo lungo percorso e di come sia riuscito, tramite le sue emozioni, a raccontarsi nel suo libro.
Il libro “Confesso cosa ho mangiato” è nato durante il periodo del lockdown. Ma, insieme all’impossibilità di poter viaggiare di cui ha parlato, ci sono altri motivi che l’hanno spinta a scrivere delle sue esperienze ?
Il lockdown ha dato modo di fare un riassunto della propria vita, di riavvolgere la pellicola dei ricordi. E, dopo un inizio casuale, è stato un susseguirsi di ricordi dove me ne veniva in mente uno, poi un altro ed altri ancora ed ancora. E li scrivevo tutti, li raccoglievo e cercavo di precisare i vari punti.
Durante i suoi viaggi, quanto è importante l’esperienza culinaria?
Diciamo il 35%. Alcune volte, qualche viaggio può essere stato trainato da questo ma non è la base. Fondamentale è la curiosità di andare a scoprire dei posti, incontrare nuove persone, affrontare nuovi argomenti. L’aspetto culinario è sicuramente trainante perché fa parte della mia vita ma le esperienze dei miei viaggi sono un cocktail di interessi. Inoltre, non ho mai visto il cibo come fine a sé stesso, non ho mai solamente mangiato e basta. Ho sempre voluto scavare dietro al piatto: sapere gli ingredienti, da dove venissero, conoscerne la storia. Quindi non è mai stato mangiare per mangiare anzi, era la fase conclusiva della conoscenza di un posto e dunque importante solo se affiancata ad altre fasi.
C’è un legame tra la scelta della destinazione dei suoi viaggi ed i cibi che troverà in quei luoghi?
Quasi mai è capitato che io sia partito con l’idea di un cibo ma dall’idea di approfondire la storia di quel posto, di quello chef specifico o di particolari ingredienti. Non vado per la cucina in sé ma, come dicevo prima, per tutto quello che c’è intorno. La cucina, in fondo, è cultura e la cultura materiale è fatta da tante cose: la cucina è solo il prodotto finale di un sapore o di un gusto. Capita alcune volte che le storie intorno ad un cibo siano più eccitanti del cibo stesso.
Qual è il segreto per eseguire il passaggio dalle esperienze ai ricordi per poi arrivare alle parole scritte nel libro?
Io mi affido alla memoria. Chi mi conosce sa che ho una memoria forte quindi è questa che mi ha aiutato molto e mi aiuta molto per rivivere io stesso le emozioni dei ricordi. Poi affianco questo alla mia formazione: io non vengo dalla cucina o da un ristorante ma vengo da esperienze culturali, di studi e di esperienze fatte sul lavoro. L’insieme di tutto questo mi ha dato modo di vedere il cibo con un altro occhio, non quello del gourmand o del critico o dell’appassionato di mangiate ma mi fa creare un legame con i piatti dove un semplice contatto con un cibo può ricordarmi l’antropologia, la geografia e tutto quello che può esserci dietro.
Come riesce a trasmettere, tramite lo scritto, le emozioni che lei stesso ha provato?
Non uso tecniche. Non studio per ottenere la reazione di chi poi leggerà. Affido la mia scrittura all’istinto, scrivo quello che sento e non mi pongo il problema se piaccia o meno perché quello sono io; non voglio falsare me stesso o riaccomodare quello che scrivo per compiacere gli altri. Questo libro è stato scritto perché è stato un piacere poter rivivere tutta la mia storia in quei momenti che erano molto tristi per tutti. Ho rivissuto tutti i momenti più belli delle mie esperienze, non ci sono racconti negativi o di incidenti di percorso ma solo episodi piacevoli e questo creda faccia la differenza ma senza pormi il fine di piacere a tutti i costi, il che ha reso il
libro molto personale ed intimo.
Sappiamo che i primi ricordi che l’hanno legata alla cucina, risalgono alla sua infanzia. Quanto hanno influito nel suo percorso, riguardandosi indietro?
Quel periodo è stato non importante ma importantissimo perché, come ho anche scritto nel mio libro, mi ha dato un’educazione alimentare senza andare a fare corsi di degustazione ma direttamente da casa, soprattutto da mio nonno che mi insegnava gli accostamenti, che non erano sicuramente gourmet ma li ho recepiti e fatti miei ed in questa maniera ho rielaborato il mio gusto. Anche per questo l’occhiello degli articoli che scrivo da 36 anni sul Sole24Ore è “A me mi piace” che è una dichiarazione chiarissima: non mi ritengo un critico perché non credo alla critica gastronomica perché non c’è oggettività ma solo soggettività; dove c’è soggettività non può esserci critica e, quando si parla di cibo, siamo tutti soggettivi quindi non posso definirmi un
critico.
Un critico deve andare al di sopra del proprio gusto personale ma non credo ci siano molti critici in Italia che riescano a farlo anzi, sono soggettivi al mio pari solo che bisogna avere il coraggio di dichiararlo ed io con la mia rubrica l’ho dichiarato 36 anni fa con il motto “chi mi ama, mi segua”.
Attraverso la memoria dei sensi, possiamo rispolverare diverse emozioni. Ci sono dei piatti che le danno emozioni di gioia e felicità?
Sì e sono tutti piatti semplici. Un piatto che mi dà gioia solo a ricordarlo e di cui sento ancora il sapore in bocca è il purè di patate di Joël Robuchon, lo chef francese. Quello per me è stato davvero il non plus ultra; così come il rognone in padella fatto col burro: casi in cui il piatto è fatto da grandi chef ma di fronte ad un prodotto molto semplice, nulla di troppo costruito. Poi potrei dire le lasagne, che mi ricordano i periodi di infanzia. In una trattoria a Fornovo, in provincia di Parma, ho avuto modo di ritrovare il sapore e l’odore di quel piatto che mi ha riportato a quei momenti vissuti in casa mia e per me è stata una gioia immensa.
Durante i suoi viaggi, le è mai capitato di subire uno shock culturale culinario?
Sì, quella volta in Australia quando ho mangiato il serpente. Non ero abituato all’idea di mangiare cose del genere e per me all’inizio è stato uno shock, dove ho avuto un pensiero di una frazione di secondo nel quale ho quasi pensato “lo mangio o non lo mangio?”. Invece in Canada, come dico anche nel libro, di assaggiare il caribù che è una specie di fagiano selvatico ma qui il motivo è diverso: da piccolo mia madre mi chiamava “caribù testa dura” e quando ho visto sul menù il caribù, c’è stato quasi un momento di blocco, quasi a mangiare me stesso.
C’è un viaggio del quale ricordo è particolarmente legato e che le ha lasciato qualcosa di forte?
Sono tanti perché ogni viaggio ha qualcosa da ricordare ma di solito quelli che lasciano più ricordi sono quelli che si fanno in compagnia. Un viaggio che mi è particolarmente caro è stato quello in California. Un viaggio che ha lasciato degli strascichi, non sul piano del cibo ma sul piano sentimentale.
C’è qualcos’altro che vuole che i nostri lettori sappiano del suo libro?
Che questo è un libro particolare che racconta di come ho vissuto il periodo di pandemia e di come mi ha bloccato. Molti si stanno chiedendo se sia la fine di una parte della mia vita e l’inizio di una nuova. Credo che il Covid e la difficoltà di muovermi mi abbiano un po’ paralizzato: mentre prima avevo sempre voglia di salire su un aereo o su un treno, ora ho ancora tante titubanze, timori che prima non avevo. Spero solo che con la fine di tutto, ritorni anche la mia voglia di viaggiare e mi si riaccenda la lampadina per fare nuove avventure.
Sta già pensando ad un viaggio che vorrebbe fare?
Dopo i viaggi in giro per il mondo voglio andare a conoscere ancora meglio l’Italia, rivisitare anche quelli che ho conosciuto molto bene ma allargare anche la mia conoscenza di tutto il territorio, battere paesino per paesino, fino alle frazioni abbandonate.
a cura di Fabiola Marono © Riproduzione riservata